Alan the Rainpiper

Alan the Rainpiper

mercoledì 3 novembre 2010

Storia delle cornamuse. Parte2: In Italia ed in Europa




Le cornamuse sono molto diffuse in vari paesi europei e non con forme molto simili, come ad esempio il 'biniou' della Bretagna,
la 'gaita' dei paesi iberici, la 'cabrette' e la 'musette' di alcune regioni francesi, la 'bagpipe' della Scozia,
la 'Northumbrian pipe' dell'Inghilterra, la 'uilleann' dell'Irlanda.
Nell'Italia settentrionale oltre alla 'baga' del Veneto si può trovare la 'piva' delle Alpi, degli Appennini e dell'Istria,
il 'baghet' del Bergamasco e la 'musa' dell'Alessandrino. 




Zampogna


Strumento aerofono della musica popolare diffuso in una grande varietà di tipi in tutta l'Europa, in Asia sino all’India, e nell’Africa settentrionale.
Consiste in una o più canne sonore inserite in appositi innesti di legno, di corno o di metallo (blocchi) fissati ad altrettante aperture di un
otre di pelle entro il quale si accumula l'aria, immessavi tramite un cannello dalla bocca del suonatore o da un mantice da lui manovrato con il braccio.
L'aria, sotto la pressione del braccio del suonatore che stringe l’otre, alimenta le ance semplici o doppie di cui le canne sono munite.
Una o due di queste (chanter) sono dotate di fori per le dita, a volte con l’aggiunta di chiavi, e producono la melodia e l’accompagnamento armonico-ritmico;
le altre canne (bordoni) sono prive di fori e producono ciascuna un’unica nota costante, che fornisce l’accompagnamento di base,
in accordo consonante con la nota fondamentale del chanter.
L'origine della zampogna va collocata probabilmente nel Vicino Oriente attorno agli inizi dell’era cristiana.
Essa era comunque nota ai romani (tibia utricularis), anche se considerata strumento esotico e di uso marginale.
Nel medioevo la zampogna divenne in occidente uno degli strumenti più diffusi, almeno tra quelli di alto volume sonoro.
Uscita progressivamente dall’uso nella musica d'arte a partire dal rinascimento con la crisi della sensibilità modale, cui la zampogna è indissolubilmente legata,
continuò ad avere fortuna nella musica popolare, ove si specializzò, differenziandosi in numerosi modelli distribuiti in aree geografiche precise,
e raggiunse spesso vette ragguardevoli di qualità musicale.
Legata sovente, ma non necessariamente, al mondo pastorale, fu comunque per lo più associata all'immagine del pastore,
fino a diventarne simbolo e a far parte integrante dello stereotipo culturale ripreso dalle mode arcadiche.

Nome attribuito per antonomasia allo strumento a riserva d'aria diffuso nell’Italia centro-meridionale, e caratterizzato dalla presenza di due charter, intonati ad intervallo di quarta o di ottava, e uno o più bordoni, tutti raggruppati in un unico blocco inserito nel collo dell'otre. Se ne conoscono numerosi tipi, raggruppabili in due grandi categorie: una a chanter conici ad ancia doppia, con canne diseguali, e l'altra a chanter cilindrici o cilindro-conici con canne di eguale lunghezza. Tra le prime spiccano la zampogna a chiave e la cosiddetta zoppa (priva di chiave), diffuse in Lazio, Molise, Campania, parte della Calabria e della Sicilia (Palermo); tra le seconde; le zampogna dette a paro (Calabria, Sicilia orientale), la surdulina italo-albanese, la zampogna di Fossalto (Molise) con tubi di canna. L’uso della zampogna è legato alla tradizione natalizia della pastorale e al ballo (saltarello, tarantella).
Nome attribuito talora a vari strumenti che somigliano alla zampogna propriamente detta per timbro o perché muniti di ancia, o che sono composti di una pluralità di dispositivi sonori e di conseguenza richiamano l’etimologia del nome zampogna (dal greco symphõnia = consonanza di suoni, insieme di suoni emessi simultaneamente), come nel caso del flauto di Pan o siringa, della ghironda, dello scacciapensieri.

Anticamente questo strumento popolare per eccellenza, accompagnava i momenti lieti e tristi della comunità agro-pastorale,
inoltre annovera una vasta tradizione musicale sia sacra che profana, ben documentata dal Medioevo:
del repertorio fanno parte i canti tradizionali, i brani ballabili, le "pastorelle" natalizie.
Molti zampognari sono anche liutai, si costruiscono cioè da sé il proprio strumento, così era una volta nella tradizione contadina
o più in generale agro-pastorale, ma ancora oggi tanti giovani riscoprono il fascino di quei gesti antichi e imparano l’arte sia musicale che artigianale.


Baghèt


Fin dal Medio Evo in Provincia di Bergamo è presente una cornamusa, con forme e caratteristiche particolari che la differenziano dagli altri modelli europei,
chiamata “ ol baghèt” o “ la pìa”.
Uno dei primi affreschi con dipinto una cornamusa è al castello di Bianzano, della fine del 1300.
Altri sono nella chiesa di Piario e al castello di Malpaga, con una datazione collocata tra il ‘400 e il ‘500.
Un bellissimo olio, della fine del 1700, è alla “Madonna d’Erbia”, attribuito a Lattanzio Querena.

La cornamusa bergamasca, che doveva essere diffusa praticamente in tutta la provincia, è arrivata ai giorni nostri sopravvivendo in una zona ben ristretta:
la media Val Seriana e la Val Gandino.
All’inizio del 1900 vi erano ancora una decina di suonatori, e l’ultimo, che ha eredito l’abilità ed il patrimonio musicale,
è stato Giacomo Ruggeri detto “Fagòt”, di Casnigo (1905 – 1990).
I suonatori erano per la maggior parte contadini, e si ritrovavano nelle stalle d’inverno.
Passata l’Epifania, poco prima del carnevale, lo strumento era riposto, per essere ripreso agli inizi dell’inverno successivo.
Con il baghèt si suonava l’antica “pastorella”, si accompagnava il canto e si eseguiva l’arcaico “ bal d’ol mòrt” ( ballo del morto),
una specie di pantomima in cui due ballerini mimavano una “morte” ed una successiva “ resurrezione”.
Con l'entrata in crisi della civiltà contadina anche l'uso del baghèt è stato progressivamente abbandonato, tanto da scomparire praticamente a metà degli anni cinquanta.
Tutto quello che noi oggi conosciamo è legato alla figura di Giacomo Ruggeri, detto "Fagòt" di Casnigo (1905 - 1990) l'ultimo suonatore conosciuto.
Senza di lui, i suoi ricordi, le sue conoscenze, le sue musiche, la maggior parte del patrimonio sarebbe andato perso.
Alla sua testimonianza si è aggiunta quella dei "Fiaì", del "Parécia", dei "Serì", del "Manòt" ", del "Pescerì" e di tanti altri ancora,
che anche con piccoli tasselli hanno permesso di ricostruire la storia di questo affascinante strumento.
Il baghèt della media Valle Seriana e Valle Gandino è composto dalla sacca, la "baga", dalla canna del canto la "diana", dai due bordoni detti "orghègn" e dal "bochì", con cui si riempie la "baga".
La tonalità originale era attorno al LA.
La "diana" emette otto note, partendo dall'anulare, mentre chiudendo anche il mignolo si ottiene la sensibile.
 I due bordoni sono così intonati: una ottava sotto la diana quello piccolo, e due ottave sotto quello maggiore.
L'ancia della "diana", in canna palustre, è un'ancia doppia ed è chiamata "pìa".
Quella dei bordoni è semplice e viene chiamata "spölèta".
La baga era in pelle di capra o pecora, con il pelo rasato e lasciato all'interno. Veniva ritagliata, piegata su se stessa e poi cucita lungo il bordo inferiore.
Gli strumenti rimanevano quasi sempre all'interno della cerchia dei parenti, ed erano i suonatori stessi che provvedevano alla manutenzione ed alle eventuali riparazioni
.

Piva Emiliana


La piva o piva emiliana è una cornamusa in uso nell'Appennino piacentino e parmense.
Nel Piacentino si diffuse prevalentemente nelle valli del Nure e dell'Arda, mentre nelle restanti vallate prese piede l'utilizzo della müsa apenninica
(quest'ultima venne utilizzata fino agli anni trenta del secolo scorso, prima di essere sostituita dalla fisarmonica, come strumento di accompagnamento del piffero,
per le musiche delle "quattro province" che costituiscono l'area culturale formata dalle valli montane delle province di Pavia, Alessandria, Genova e Piacenza).
L'uso di questo strumento venne abbandonato nel periodo immediatamente successivo alla Seconda Guerra Mondiale.
Era uno strumento solista usato prevalentemente per il ballo. Dagli anni ottanta del secolo scorso è iniziato un recupero dello strumento ad opera di
numerosi gruppi musicali attivi nel modenese e in altre zone dell'Emilia-Romagna.
La piva è composta da una canna con fori digitali (chanter o s-cella in dialetto parmense), da due canne di bordone (maggiore e minore) e da una detta insufflatore.
Tutte e tre sono inserite in un otre di pelle che costitusce il serbatoio dell'aria.
L'otre è in pelle conciata, tradizionalmente di capretto, che viene cucita nella parte posteriore e si utilizzano le aperture di collo e zampe anteriori per l'iserimento,
del chanter e dei bordoni, mentre viene fatto un apposito taglio per l'insufflatore.
Il chanter, ad ancia doppia, è costruito in un unico pezzo di legno, lavorato al tornio, con sette fori per le dita nella sua parte anteriore, il foro per il mignolo è doppio per permettore l'uso dello strumento a destrimani e mancini (quello non utilizzato viene tappato con cera).
Possiede altri fori chiusi detti di intonazione.
Il bordone minore, ad ancia semplice, è costituito da due pezzi, lavorati al tornio, produce un suono un'ottava sotto rispetto alla nota più grave del chanter,
viene tenuto appoggiato all'avambraccio.
Il bordone maggiore, ad ancia semplice, è costituito da tre pezzi e produce un suono due ottave sotto alla nota più grave del chanter,
la canna del bordone maggiore viene tenuta appoggiata alla spalla.
Il fatto che i bordoni siano composti da più pezzi permette al musicista di accordarli prima di suonare,
accorciando o allungando la lunghezza complessiva delle canne facendo scorrere avanti e indietro i singoli segmenti delle parti in innesto.
L'insufflatore permette al musicista di immettere il fiato dentro l'otre che lo distribuisce in modo costante a chanter e bordoni,
con la pressione che l'avambraccio esercita sull'otre stessa.
Alcune pive raccolte da Ettore Guatelli sono conservate al Museo etnografico di Ozzano Taro (PR).
Il Piffero è identico al Chanter della Piva, è nella stessa tonalità (sol), ha la stessa estensione e diteggiatura.
L’unica differenza risiede nel fatto che l’aria viene immessa direttamente dal suonatore nello strumento, non essendoci una sacca.
Deriva dall'antico ciaramello medioevale della famiglia delle bombarde, progenitrici dell'oboe moderno.
L'ancia di questo strumento, realizzata in canna o in plastica, è collocata in una "piruette" (bocchino chiamato musotto), particolarità, unica in Italia,
che ha in comune con gli oboe orientali e antichi.


Mih


Il Mih (o Mjeh) è uno strumento musicale della famiglia delle zampogne.
Viene suonato in Istria, Lika, Isole dalmatine e sud dell’Erzegovina.
È composto da un otre di pelle conciata (di capra o pecora), una canna sonora (diple) nel cui interno vi è una doppia ancia, e un cannello (dulac o kanela).
Il Mih non ha bordone. Il suonatore soffia nel dulac immettendo così l'aria nell'otre. Il flusso d'aria poi esce dalle diple, modulato dalla pressione delle dita sui fori.
Vi sono varie forme di Mih provenienti da diverse parti della Croazia.
Per lo più si distinguono per il tipo di canna sonora, per la posizione dei fori e per qualche piccolo dettaglio o ornamento.
I Mih non sono strumenti temperati sicché i rapporti tra i toni non sono puri. Ciò rende la musica del Mih molto inconsueta e aspra.


Gaita


La gaita galiziana o gaita de fole è la cornamusa tradizionale utilizzata in Galizia (Spagna) e in Portogallo.
 Il termine gaita è utilizzato in galiziano, spagnolo, asturiano e portoghese come termine generico per indicare la cornamusa.
Esattamente come Northumbrian smallpipes o Great Highland Bagpipe, ogni paese e regione attribuisce il suo toponimo al nome
della rispettiva gaita: gaita galega (Galizia), gaita trasmontana (Trás-os-Montes), gaita asturiana (Asturie), gaita sanabresa (Sanabria),
sac de gemecs (Catalogna), gaita de boto or gaita aragonesa (Aragona), etc
È possibile che il nome derivi da ghaita (scritto anche rhaita in Marocco e algaita in Nigeria), un oboe nordafricano simile alla zurna il cui nome
deriva da una parola araba che significa fattoria, ma potrebbe anche derivare da cornamuse dell'Est Europa che portano nomi simili,
come gaida, gajda, e gajdy, ma la relazione linguistica, se c'è, tra questi strumenti è ancora poco chiara.
Infine, secondo l'interpretazione del famoso linguista Joan Corominas, il nome potrebbe derivare da una radice gotica, gaits o gata (capra),
in quanto la sacca è fatta con la pelle di quest'animale. Infatti il gotico veniva parlato in Spagna fino all'VIII secolo a causa delle invasioni dei Visigoti.


Gaida


La gaida, anche scritta gajda, è una cornamusa diffusa nelle regioni balcaniche; è suonata in Bulgaria, Macedonia e nelle regioni della Tracia, in Grecia.
Strumenti simili sono reperibili in Albania, Romania, Turchia e in generale in tutta la penisola balcanica.
Il sacco dello strumento è ricavato dalla pelle di capra o pecora trattata.
Il bordone durante l'uso della gaida viene appoggiato sulla spalla del musicista.

Mittel dudelsack (Mittelaltersackpfeife)


Argomento delicato: da tutti definita erroneamente ed a priori "la cornamusa Medievale".
In verità questo strumento di "origine" Tedesca non è l'evoluzione di nessun tipo di strumento antecedente ma una ricostruzione in base a
descrizioni di Michael Praetorius* e raffigurazioni di Albrecht Dürer** adattata alle esigenze tonali moderne.
Le prime ricostruzioni di cornamuse medievali tedesche incominciano attorno il 1970 in Germania Ovest.
Il suono molto spesso è simile alla Great Highland Bagpipe differenziandosi per l'accordatura in LA e rigorosamente in scala minore.
Dal suono potente per esigenze di mercato essa ha ancora un forte valore simbolico: maschile, elementare, barbaro, potente.
Lo strumento puo avere da uno a tre bordoni (solitamente uno di basso o due, basso e tenore) ed in alcuni casi possono essere accordati un tono sotto,
in SOL per poter eseguire brani in scala maggiore.
Il chanter che monta un'ancia doppia ha di solito ha sette fori anteriori ed uno posteriore per il pollice sinistro e la diteggiatura è solitamente aperta.
Attualmente questo strumento ha preso molto piede nell'ambito di una certa musica pseudo medievale (od in taluni casi musica metal camuffata da "folk").
Possiamo vedere e sentire vari gruppi che si esibiscono con questi strumenti tra cui i Corvus Corax od i Barbarian Pipe Band tanto per dare due esempi,
sicuramente molto scenici e suggestivi ma che non centrano minimamente a quella che era effettivamente la musica nel medioevo.
La musica medievale ed i suoni delle cornamuse erano molto diverse da quello che immaginiamo.
Il medioevo creato da gente un po punkabbestia non è certamente un attendibile intrattenimento di corte dell'epoca.
* Michael Praetorius: Nato a Creuzburg, nell'Alta Turingia, nel 1571, Praetorius (nome umanistico M.Schultz o M.Schultheiss) fu maestro di cappella presso varie corti europee. Figura indispensabile per il passaggio all'Alto Barocco, fu uno dei musicisti principali del rinascimento musicale tedesco.

La sua vastissima opera compositiva comprende circa 1200 opere di musica sacra. Altrettanto importante il suo "Syntagma Musicum", del 1619, con trattazioni e disegni della storia musicale. L'opera è suddivisa in tre parti: la prima e la terza, in latino, riportano note storiche su forme e tecniche musicali, mentre la seconda, in tedesco, è un trattato di organologia dell'epoca

** Albrecht Dürer: (Norimberga, 21 maggio 1471 – Norimberga, 6 aprile 1528) è stato un pittore, incisore, matematico e xilografo tedesco. Figlio di un ungherese, viene considerato il massimo esponente della pittura tedesca rinascimentale. A Venezia l'artista entra in contatto con ambienti neoplatonici. Si presume che tali ambienti abbiano sollevato il suo carattere verso l'aggregazione esoterica. Classico esempio è l'opera dal titolo Melencolia I, realizzata nel 1514, in cui sono presenti evidenti simbologie ermetiche


CONTINUA...
STORIA DELLE CORNAMUSE. Parte3: In Scozia

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