Alan the Rainpiper

Alan the Rainpiper

mercoledì 3 novembre 2010

Storia delle cornamuse. Parte1: Presentazione ed origine dell'evoluzione.



L'idea di questi post nasce dalle esperienze  positive e negative nell'ambito delle rievocazioni storiche.
Molte volte grazie alla mia cornamusa Scozzese ho ricevuto complimenti e gratifiche ma molte altre volte
ho ricevuto critiche, perplessità, dubbi e malumori riguardo la filologicità della stessa.
All'inizio rispondevo con un mezzo sorriso ma a lungo andare si è incentivato il mio fastidio osservando
una grave disinformazione inerentemente gli strumenti musicali alle rievocazioni, ho trovato piu una
"filologia da immaginario" che una effettiva filologia e conoscenza storica.
Io personalmente rievoco il XIII secolo e posso capire il problema visivo e di locazione geografica della mia
cornamusa Scozzese a 3 bordoni (nonostante porto melodie inerenti al periodo) ma qualcosa poi non mi torna...
trovo alle rievocazioni gaite galleghe ed asturiane pure loro di fattura moderna a cui non viene detto nulla (anzi),
trovo flauti dolci che si chiamerebbero oltre che flauto a becco anche flauto BAROCCO (e forse ci sarà un perchè no?
antecedenti ai flauti barocchi gli unici flauti a becco erano i flagioletti) e nemmeno a loro viene parlato di filologicità,
trovo violini che emulano le vielle ed il discorso rimane invariato, bozouki e mandolini di altrettanto moderna fattura ad emulare i liuti,
trovo tamburini in vetroresina e tiranteria inox con pelli sintetiche
(e tamburisti vestiti in calzamaglia sintetica o collant sfoggiando anfibi o scarpette superga) ed idem, nulla cambia.
Ad un certo punto io mi sento discriminato da un retaggio di "celtico" nonostanto che tra i Celti e gli Scoti o Caledoni passano piu di 1000 anni.
Comincio questa serie di 4 articoli parlando delle piu lontane origini degli aerofoni a sacco.

Quando si sente nominare la cornamusa, il più delle volte, la nostra immaginazione viene trasportata direttamente in Scozia,
al cospetto di rudi guerrieri in kilt pronti a lanciarsi nel vivo della battaglia suonando i loro fragorosi strumenti.

In realtà l’attuale cornamusa scozzese, nota col nome di Great Highland Bagpipe o Piob Mhor, ha poco più di cent’anni ed è solo l’ultima evoluzione
di uno strumento diffuso dall’Asia alla penisola Iberica sin dai tempi più antichi.

Molte volte si è tentato di circoscrivere una zona d’origine di questo strumento ma crediamo che ne esistano più d’una.
Le infinite tipologie di cornamuse che conosciamo, devono essersi sviluppate in modo parallelo, in diverse culture, come evoluzione di strumenti primitivi.
Esistono, infatti, numerosi documenti che attestano l’esistenza di strumenti ad ancia (sprovvisti di sacca) in uso nel bacino del Mediterraneo
sin dal III millennio a.C. I più conosciuti sono gli auloi greci e le tibiae romane.


Questi strumenti, usati singolarmente o in coppia, venivano suonati direttamente con la bocca, utilizzando una complessa tecnica, detta respirazione circolare,
che permetteva l’emissione di un suono continuo.
Tale tecnica è tutt'ora utilizzata per le Launeddas, tipico strumento sardo.

Forse, furono proprio la difficoltà e lo sforzo richiesti a spingere alcuni musicisti all’introduzione di una sacca come riserva d’aria.
Comunque, che sia stata questa la causa o altre, di sicuro sappiamo che, a un certo punto, questi bizzarri strumenti musicali, cominciarono ad apparire.

Le prime testimonianze sono piuttosto rare ed enigmatiche: il commediografo greco Aristofane (445-385 a.C.) si riferisce, sia in “Lisistrata” che ne’ “Gli Acarnesi”,
a degli strani strumenti che potrebbero ricordare delle cornamuse; Svetonio (70-140 d.C.), trattando della vita di Nerone, definisce quest’ultimo
come «utricularius», riferendosi probabilmente alla sua abilità nel suonare uno strumento dotato di una riserva d’aria.

Una descrizione più convincente ci viene regalata dall’oratore greco Dione Crisostomo (40-120 d.C.) il quale, in una delle sue orazioni,
forse sempre a proposito di Nerone, dice: «narrano che sappia scrivere, scolpire,  suonare l’aulos sia con la bocca si per mezzo dell’ascella,
ponendo sotto quest’ultima una sacca che utilizza per evitare di sfigurarsi come Atena».

Oltre a queste occorrenze, è giunta fino a noi un'importantissima testimonianza reperibile in una lettera apocrifa di San Gerolamo a Dardano (risalente al IX secolo):
«il chorus è una semplice pelle con due canne d'ottone: in una di esse s'insuffla l'aria e il suono viene emesso dall'altra».

Un altro vago riferimento appare in uno scritto di Avicenna ma, per il resto, i richiami a strumenti sul tipo della cornamusa rimangono rari e imprecisi fino al XII secolo.

Evidentemente non capitava spesso di vederne e sentirne e molto probabilmente furono sempre considerati strumenti di rango inferiore e adatti
più ai mendicanti che ai veri musicisti.

Il XII secolo vede un cambiamento di tendenza e diversi tipi di cornamusa cominciarono ad essere descritti, scolpiti e ritratti, segno che questo strumento,
con tutte le sue infinite variazioni, stava cominciando a prendere piede e a diffondersi in tutta Europa.

Le Cantigas de Santa Maria, una raccolta di canti in lode della Vergine voluta da Alfonso X “il Saggio” nel XIII secolo, ci regalano,
con le loro miniature, alcuni esempi di strumenti in uso durante il periodo medievale.


Molti documenti medievali mostrano cornamuse prive di bordoni ma rapidamente, questo nuovo componente,
cominciò ad essere aggiunto allo strumento conferendo quell’accompagnamento armonico che sarà una delle caratteristiche fondamentali della cornamusa sino ai giorni nostri.


CONTINUA...
Storia delle cornamuse. Parte2: In Italia ed in Europa
Storia delle cornamuse. Parte3: In Scozia 
Storia delle cornamuse. Parte4: Epilogo, constatazioni e riflessioni 

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